mercoledì 27 novembre 2013

Baluardi balordi di bordo stagione...

Di nero e di giallo vestiti, r-esistono.


Foto scattata due giorni fa nel posto dove vivo e che amo
Fra acque ormai gelide


E altri ospiti fioriti (che fiore è qualcuno lo sa?)




venerdì 15 novembre 2013

A Hugo, al '93, alle Bestie e alle Dee




...Di lui si dice che "esagera". Come negarlo?
Negli scorsi mesi ho letto "L'uomo che ride", "I miserabili", ora termino "93".
Su queste pagine lascio tanta soddisfazione, curiosità, passione.
Qualche estratto dall'ultimo romanzo, anche se il mio preferito resta quello che ci racconta dell'ultimo fra gli ultimi, lo sfregiato, il mostro e l'eroe, Gwynplaine. Consigliatissimo.

INDIFFERENTE A TUTTO, ATTENTO A OGNI NONNULLA
Mentre ciò accadeva nei pressi di Tanis, il mendicante se n'era andato verso Crollon. Si era inoltrato nei burroni, sotto l'ampio fogliame silenzioso, indifferente a tutto e attento a ogni nonnulla, come aveva detto egli stesso, sognando più che pensando, poiché chi pensa ha uno scopo e chi sogna no, errando, vagabondando, mangiando qua e là un germoglio di acetosella, bevendo alle sorgenti, drizzando ogni tanto la testa ai frastuoni lontani, per rientrare poi nell'abbagliante fascino della natura, esponendo I suoi cenci al sole, egli forse sentiva il rumore degli uomini, ma ascoltava il canto degli uccelli.
(Pag 82, ed. Einaudi)

IL FUMO
Un fumo attrasse la sua attenzione.
Niente di più dolce del fumo, niente di più spaventoso. C'è il fumo pacifico e il fumo scellerato. Nella densità e il colore di una colonna di fumo, c'è tutta la differenza tra la pace e la guerra, tra la fraternità e l'odio, tra l'ospitalità e il sepolcro, tra la vita e la morte. Un fumo che sale tra gli alberi può significare ciò che v'è di più incantevole al mondo, il focolare, o ciò che v'è di più spaventoso, l'incendio; e tutta la felicità come tutta l'infelicità dell'uomo stanno talvolta in questo vapore sparso al vento.
(Pag. 102) 

UNO SPIRITO PUO' PROCREARE
Lo spirito allatta, l'intelligenza è una mammella. Vi è analogia tra la nutrice che dà il suo latte e il precettore che dà il suo pensiero. Qualche volta il precettore è più padre del padre, come spesso la nutrice è più madre della madre.
Questa profonda paternità spirituale legava Cimourdain al suo allievo (Gauvain) Solo a vedere il fanciullo si inteneriva.
A ciò si aggiunga che sostituire il padre era facile, poiché il fanciullo non l'aveva più; era orfano; il padre era morto, la madre era morta: erano suoi tutori una nonna cieca e un prozio lontano.
[…] C'è ancora da aggiungere questo: Cimourdain aveva visto nascere il bambino che era stato il suo allievo. Il bambino, rimasto orfano piccolissimo, aveva avuto una grave malattia. Cimourdain, in quel pericolo di morte, l'aveva vegliato notte e giorno; è il medico che cura, ma è l'infermiere che salva, e Cimourdain aveva salvato il bambino. Non solo il suo allievo gli doveva l'educazione, l'istruzione, il sapere; ma gli doveva la convalescenza a e la salute; non solo gli doveva il saper pensare, ma anche il poter vivere. Coloro che ci devono tutto noi li adoriamo; Cimourdain adorava quel bambino.
Il distacco naturale della vita era avvenuto. Compiuta l'educazione, Cimourdain aveva dovuto lasciare il fanciullo divenuto un giovanotto. […]
Era sopraggiunta la rivoluzione; il ricordo di quell'essere di cui egli aveva fatto un uomo aveva continuato a vivere in lui, nascosto ma non spento, dalla grandiosità dei pubblici avvenimenti.
Modellare una statua e crearla è bello; modellare un'intelligenza e darle la verità, è più bello ancora. Cimourdain era il pigmalione di un'anima.
Uno spirito può procreare.
(Pag. 102-103)

MORIRE
Tutti, in silenzio, dietro la barricata o sui gradini delle scale, attendevano, con una mano sul moschetto e l'altra sul rosario.
La situazione si andava precisando, ed era questa:
Per gli assalitori, una breccia da superare, una barricata da abbattere, tre sale sovrapposte da prendere a viva forza l'una dopo l'altra, due scale a chiocciola da conquistare gradino per gradino, sotto un fuoco di mitraglia; per gli assediati, morire.
(Pag. 261)

ECUBA, LA MADRE, L'URLO, L'ANIMALE
[…] In un batter d'occhi la fiamma raggiunse il secondo piano. Allora, dall'alto, rischiarò l'interno del primo. Un vivo chiarore mise improvvisamente in risalto tre piccoli essere addormentati.
Era un grazioso viluppo di braccia e gambe intrecciate, palpebre chiuse, bionde testine sorridenti.
La madre riconobbe i suoi figli.
Gettò un grido spaventoso.
Quel grido della disperazione inesprimibile è solo delle madri. Nulla di più cupo e di più commovente. Quando esce dalla bocca di una donna, sembra una lupa; quando lo lancia una lupa, sembra di udire una donna. Quel grido di Michelle Flechard fu un urlo. “Ecuba abbaiò”, dice Omero.
[…] Non era più la figura di Michelle Flechard, era Gorgona. I miserabili sono i formidabili. La contadina s'era trasfigurata in eumenide. Questa villana qualunque, volgare, ignorante, incosciente, aveva preso d'un tratto le dimensioni epiche della disperazione. I grandi dolori sono una dilatazione gigantesca dell'anima; questa madre era la maternità; tutto ciò che riassume l'umanità è sovrumano; ella si rizzava là, sull'orlo del burrone, davanti a quell'incendio, davanti a quel crimine, come una potenza sepolcrale; aveva il grido della bestia e il gesto della dea; il suo viso, dalla cui bocca uscivano le imprecazioni, sembrava una maschera fiammeggiante. Niente di più straordinario del lampo dei suoi occhi inondati di lacrime; con lo sguardo fulminava l'incendio.
(Pag. 293)