lunedì 28 novembre 2011

Miracolo a Le Havre

Il mio regista vivente preferito non sbaglia un colpo. Nemmeno quando, forzando un po' la mano all'impronta estetica più completa e interessante del cinema contemporaneo, vuole assumersi esplicitamente un impegno civile e politico. Non che nei suoi film precedenti ciò sia assente in assoluto, al contrario; Kaurismaki mette in scena praticamente solo storie di Ultimi, di perdenti che subiscono ogni genere di sfiga e di ingiustizia, ma con dignità e purezza. Il tutto è condito da un sarcasmo essenziale, esistenziale, surreale e del tutto fraterno: "Sono un ubriacone anch'io!"


In Miracolo a Le Havre il dramma dei migranti è l'oggetto dello scandalo e l'accoglienza di un quartiere proletario di Le Havre nel quale, solitamente, i miracoli non avvengono, come ricorda la moglie del protagonista al dottore che le ha diagnosticato un cancro, la risposta. La signora in questione ha il nome dell'attrice protagonista de Il porto delle nebbie, film di Carnè del '38 ambientato nella stessa cittadina normanna, Arletty, ed è interpretata dalla adorata Kati Outinen. Suo marito Marcel Marx, il protagonista, è lo stesso personaggio impersonato dallo stesso attore -Andrè Wilms- di Vita da bohème: oggi fa il lustrascarpe, è sempre pieno di toppe e debiti. Si troverà a proteggere un poco più che bambino migrante con l'aiuto, spontaneo ma straordinario, della sua rete sociale e di un ispettore coacervo di gusto, cuore e citazioni cinematografiche.


Chaplin e Bresson su tutti, il regista finlandese è come se resuscitasse con ogni gesto/scena un frammento di un grande autore del passato. La potenza di questo cinema non si limita al tocco composto e magistrale, colorato e immobile, ma risiede, soprattutto, nell'amore e nella disperata vitalità, a pasoliniana memoria. Nella sua capacità di essere (e non solo di rappresentare) la vita degli Ultimi, al di là di ogni moralismo borghese, dell'individualismo gretto, della pochezza dell'anima intellettuale e materialistica. Kaurismaki non risparmia colpi, riesce a rappresentare quella unità, quella dignità, quello Spirito ancora vivo oggi, nonostante il distacco dalla modernità così esplicito ma mai così a-ideologico e naturale, che caratterizza le sue narrazioni. 


E' tutto qui. Il resto è delle immagini, dei volti, delle brume dei porti e delle strade. E della musica, elemento fondamentale del cinema di questo straordinario autore. Un tutto che non potrebbe non avvenire attraverso un redivivo Little Bob, ananas farciti, cagnette Laika e, mica a caso (come ci manca!), la Finlandia.

Qui sotto una recente intervista (da GQ) del soggetto: regista o camionista russo ubriaco?

venerdì 25 novembre 2011

Breaking Bad, Mary and Max, Arrietty

Ecco alcune delle ultime cose viste che mi sento di suggerire, direi più o meno nell'ordine del titolo del post.


Breaking Bad è una serie che segue l'esplosivo sodalizio tra un professore di chimica malato terminale di cancro e un suo ex-alunno quasi trentenne discreto consumatore e venditore di sostanze psicoattive. Una società al 50% in cui tendenzialmente Walter (il professore) produce, grazie alle sue conoscenze, cristalli metanfetaminici di spaventosa qualità e Jesse cerca di farle girare sulle piazze dello spaccio. Un patto di "convenienza" non solo commerciale, visto che Walter ha anche un ruolo da mentore maschile di buon respiro e intensità, mentre è spesso in difficoltà con il figlio naturale, un sedicenne con una disabilità motoria. Personaggi di spessore per attori degni del ruolo, grandi trovate registiche (specie nella seconda stagione - io sono arrivato fin lì, ma sono quattro, per ora), ambientazione caratteristica americana da middle town centro-meridionale, ben evidenziata da una fotografia attenta e rigorosa, rendono questa serie per molti versi accostabile a Dexter (doppie identità nascoste, contrapposizione tra crimine e legge, malattia, figli in arrivo, eccetera) un lavoro da seguire con la dovuta attenzione, anche solo per puro divertimento.


Mary and Max (di Adam Elliot, 2009, il link è al bellissimo sito ufficiale) è un cartone animato in passo uno molto divertente e intrigante (qui una breve recensione). Il film racconta della relazione di penna tra una bambina australiana "dolcemente disagiata" e un corpulento cinquantenne newyorchese di origine ebraica con qualche problemino nel campo delle sociopatie. Due disadattati in cerca di amicizia che troveranno inaspettati punti in comune, tanto da essere in grado di capirsi e aiutarsi -spesso con consigli assolutamente pazzoidi, forse per questo funzionanti- nel superare le varie paure e difficoltà, davvero non da poco, che devono affrontare nelle loro misere (dal punto di vista materiale e relazionale) esistenze. Mary and Max è un malinconico, gioioso, sarcastico, delicato prodotto del miglior cinema di animazione degli ultimi anni. Da vedere!


Arrietty, scritto da Miyazaki e diretto dal giovane "rampollo Ghibli" Hiromasa Yonebayashi, è un altro anime incredibilmente bello dal punto di vista del disegno e della colorazione. Ambientazioni definite nel più piccolo dei dettagli (è proprio il caso di dirlo) tagliano il fiato su atmosfere incantate, magie di mondi dentro mondi, luci e ombre. La vicenda è tratta dal libro per ragazzi I Rubacchiotti della scrittrice inglese Mary Norton: è un Ghibli, la bellezza non si discute.

martedì 8 novembre 2011

Novantanove volte 99



'Na decina d'anni fa quando tutto andava bene e sembrava che la posse fosse un treno
che nessuno al mondo poteva fermare mi volli cimentare in un'impresa senza offesa per nessuno che soltanto io la potevo pensare: scendere dal treno e tornare a passeggiare
tra la gente lontano dall'ambiente dei vincenti nel quale mio malgrado mi ero ritrovato e nessuno mi ha cacciato sono io che sono andato via perchè a voi vostri salotti preferisco casa mia perchè ho una faccia sola la mia e se per caso è uguale a un culo è il mio faccio da solo faccio tutto io anche se a dire il vero nun me manca 'a cumpagnia tutti professionisti c'a professione mia
tutti criminali si 'n galera ce vaco je 
tutti cocainomani si 'a droga v'o ppavo je
po' tutti magistrati e prufessure se mi perdo nell'oblio!

SONO TORNATI!

La posse che ha fatto ballare e pensare una generazione (la mia) si riaffaccia sulla scena, dopo più di dieci anni, con un album vibrante, versatile e accurato musicalmente (e ricchissimo di collaborazioni). 
Hip-hop, raggamuffin', drum 'n' bass, rock, punk, pop e tradizionale...
La miccia è accesa, il discorso spiegato, i pugni alzati.
Si canta di Ultimi (su tutti i detenuti di Cattivi Guagliuni e i "giovani accademici" di University of Secondigliano, che tanto avrebbero da insegnare, con vari metodi, a parecchi giovanotti spocchiosi autori di blog), di rabbia e di riscatto personale e sociale, di lavoro, militanza e...PD...basti il titolo: Yes,Weekend !
I pezzi di apertura spaccano: Canto pe'dispietto, con la NCCP, e University of Secondigliano, con il giovane talento rap napoletano Clementino. Ma anche Tarantelle pe' campà (feat Caparezza), Confusione totale e Mo' basta scuotono e nutrono senza risparmio mente e arti. 
Fra i lenti, bello l'omaggio a Carlo Giuliani, su ispirazione della struggente poesia scritta all'epoca da Nichi Vendola, Mai più sarò saggio.
Non mancano però canzoni che proprio non fanno presa, anche a causa di testi e arrangiamenti un po' troppo didascalici come, purtroppo, il pezzo dedicato ad Arrigoni, Resto umano.




Concerto il 5 dicembre a Milano a 12 euro! 

mercoledì 2 novembre 2011

Robe da poco: fare un film su Freud e Jung



Esprimere in 93 minuti di pellicola l'intersezione più importante del pensiero psicologico moderno occidentale, non è roba da poco.
Svolgere il mutevole e controverso rapporto fra i padri della psicoanalisi con stile, sintesi e popolarità, non è roba da poco.
Divertire, mentre lo si fa, non è roba da poco.
Dipingere Freud in efficaci tinte e forme, non è roba da poco.
Nè per l'attore, nè per il conduttore.
Abbozzare un giovane Jung frastornato dalla carne e sulla soglia del Libro Rosso, non è roba da poco.

UN LIMITE
Passata la soglia di Freud, dove sono i Portali di Jung? Manca il secondo tempo?

GLI ENCOMI
Grande scrittura, ottima resa visiva, calibrata, sobria, scorrevole.
Oscar come miglior protagonista alla potente e trasformativa essenza del nostro mondo intellettuale: la Parola.